Disturbi alimentari, stress cronico, attacchi di panico, insonnia, perdita di capelli. Sono solo alcune delle drammatiche conseguenze psicofisiche riportate da numerose ex atlete della Nazionale di ginnastica ritmica, oggi al centro dell’inchiesta che ha portato all’imputazione coatta della direttrice tecnica Manuela Maccarani, nonostante la richiesta di archiviazione da parte della Procura.
Secondo il giudice, le testimonianze raccolte — da ragazze con storie diverse ma racconti incredibilmente simili — delineano un ambiente opprimente e privo di tutele. “Tutte nude in fila”, “senza reggiseno perché influiva sul risultato”, “la bilancia era un’ossessione”: episodi che parlano di pressioni estreme e pratiche che hanno minato salute e dignità.
Le ginnaste sarebbero state indotte a saltare pasti, limitare l’acqua, assumere lassativi, seguendo regole imposte senza alcun fondamento scientifico: “20 kg in meno dell’altezza” era il parametro.
Psicologo e nutrizionista? Attivati solo dopo l’esplosione del caso mediatico e — secondo gli atti — non indipendenti. Lo psicologo avrebbe riferito alla coach le confidenze delle atlete. Il nutrizionista, ancora studente, era il figliastro del compagno della Maccarani. Entrambi avrebbero avuto come priorità la tutela dell’immagine dell’Accademia, non il benessere delle atlete.
“La nostra allenatrice non vuole il mental coach, sa che quello che viviamo non è normale” scriveva una ragazza. Intanto Maccarani, secondo gli inquirenti, avrebbe contattato atlete e collaboratori per “capire cosa avessero detto”, cercando foto che le ritraessero mentre mangiavano pizza o dolci, nel tentativo di screditare le denunce.
Una storia che interroga lo sport italiano: quanto conta davvero la salute mentale e fisica delle atlete?
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