Virus sinciziale: in Italia il tasso di infezione più alto d’Europa

Il dato emerge da uno studio condotto su cinque Paesi che ha coinvolto 3.400 bimbi e a cui ha partecipato l’Università di Pisa: l’impatto su famiglie e sistema sanitario

Roma, 11 febbraio 2025 (Agenbio) – Di virus sinciziale si sente parlare sempre con maggiore insistenza. La questione, pur non essendo nuova, è infatti di strettissima attualità considerando anche il periodo dell’anno che stiamo vivendo. Dal momento della sua identificazione, avvenuta nel 1956, il VRS è stato riconosciuto come un importante patogeno umano, in particolare nei bambini. Si tratta di un virus stagionale che si presenta nei mesi invernali nei Paesi con clima temperato e durante la stagione delle piogge in quei Paesi con clima tropicale. A testimonianza della sua diffusione il fatto che circa il 90% dei lattanti e dei bambini nel secondo anno di vita ne è vittima, soprattutto tra le sei settimane e i sei mesi di vita. Sono comuni ripetute infezioni in tutti i gruppi di età, perché una precedente infezione non previene le infezioni successive, anche a distanza di un solo anno. Spesso, inoltre, l’infezione del piccolo lattante è preceduta da una semplice rinite in un adulto della famiglia. Oggi le infezioni che derivano da questo tipo di virus sono una delle principali cause di bronchiolite e di polmonite nei bambini con età al di sotto dei cinque anni. A tal proposito è stato effettuato uno studio che ha preso in considerazione cinque Paesi europei – Italia, Belgio, Paesi Bassi, Spagna e Regno Unito – per valutare l’impatto sociale di questa patologia su famiglie e servizi sanitari. La ricerca è stata pubblicata su The Lancet Respiratory Medicine, una delle più prestigiose riviste scientifiche internazionali del settore. Lo studio, a cui ha partecipato anche l’Università di Pisa, è durato 2021 al 2023 con il coinvolgimento di oltre 3.400 bambini. In base ai dati raccolti è emerso che quasi un terzo (32,9%) delle infezioni respiratorie acute nei bambini in età prescolare è associato al virus sinciziale. «La durata media della malattia è di circa 12 giorni, con oltre il 45% dei genitori che ha dovuto assentarsi dal lavoro e il 70% dei bambini che ha perso giorni di scuola o asilo. I risultati evidenziano inoltre notevoli differenze tra i Paesi in termini di approcci terapeutici, di utilizzo delle risorse sanitarie e di impatto sociale» fa sapere l’ateneo toscano in una nota. Stringendo il campo sull’Italia, «il tasso di positività al virus nei bambini è stato del 42,6%, il più alto tra i Paesi partecipanti e i bambini positivi in Italia sono stati sottoposti in media a tre visite in assistenza primaria, dato che ci mette al pari della Spagna contro le 1,4 dei Paesi Bassi». Dallo studio inoltre è venuto fuori che la durata media della malattia è stata di 11,7 giorni, leggermente al di sotto della media generale. Altro aspetto particolarmente interessante è quello relativo all’impiego di farmaci, più utilizzati nel Belpaese rispetto alle altre nazioni prese in considerazione. Il 76,8% dei bambini italiani positivi al virus sinciziale ha ricevuto farmaci. I più prescritti sono stati broncodilatatori e antibiotici. Decisamente più limitato il ricorso alle medicine in Paesi come il Regno Unito. Altra problematica correlata al virus è la necessità da parte dei genitori italiani di assentarsi dal lavoro per accudire i figli (45,7% con una media di 4,1 giorni persi). Quest’ultimo dato non è così diverso da quello del Belgio, mentre ci allontana drasticamente dagli appena 1,3 giorni persi dai genitori spagnoli. Caterina Rizzo, ordinaria di Igiene e Medicina Preventiva all’Università di Pisa, fa il punto: «I risultati mettono in luce la necessità di migliorare la prevenzione per alleviare il carico sulle famiglie e sui sistemi sanitari, soprattutto nel periodo invernale in cui il virus circola di più. Negli ultimi anni sono stati approvati in Europa nuovi strumenti preventivi contro il virus respiratorio sinciziale, tra cui un nuovo anticorpo monoclonale che permette di immunizzare i neonati e un vaccino da somministrare durante la gravidanza: si tratta di misure che possono avere un impatto positivo non solo sulla salute dei bambini, ma anche sull’organizzazione complessiva delle cure primarie». La diagnosi del virus avviene mediante tampone molecolare, poiché i sintomi, comuni alla normale influenza, non sono sufficienti a stabile se si è in presenza di VRS sebbene il periodo dell’anno e la presenza del virus stesso negli ambienti scolastici possano costituire validi indizi dei quali tenere conto. In generale non vanno trascurati segnali come la riduzione dell’alimentazione, gli episodi di apnea e il respiro veloce o affannato. Per quanto riguarda i rimedi, sono i soliti, ossia antipiretici, antinfiammatori e mucolitici. Nelle forme severe infantili o neonatali l’approccio terapeutico è differente e può rendersi necessario l’impiego di cortisonici, ossigeno e alimentazione supplementare tramite sondino. Ma più che curare è sempre di fondamentale importanza prevenire. Da questo punto di vista la strade possibili da perseguire sono due: vaccinazione materna contro il VRS durante la gravidanza, oppure l’immunoprofilassi somministrata al bambino nel primo anno di vita. (Agenbio) Des 9:00