«Improbabile che i vaccini vengano compromessi dalla nuova mutazione inglese: questo virus lo fa continuamente». Intervista a Mauro Giacca, biologo molecolare e professore al King’s College di Londra

L’analisi di Mauro Giacca, professore al King’s College London, sulla variante di coronavirus individuata in Gran Bretagna e sulla risposta internazionale alla pandemia

Ad inizio settimana ha fatto notizia l’annuncio di una nuova mutazione del virus SARS-CoV-2 identificata nel sud-est dell’Inghilterra. Dei timori circolati sui media abbiamo parlato con Mauro Giacca, biologo molecolare, attualmente professore in Cardiovascular Sciences al King’s College London e capo del gruppo di Medicina Molecolare presso il Centro internazionale di ingegneria genetica e biotecnologie (Icgeb), agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di ricerca e trasferimento tecnologico all’industria, di cui è stato anche direttore generale.

Professor Giacca, che cosa si sa di questa nuova mutazione del coronavirus?

La notizia ha generato allarme perché è stata comunicata contestualmente all’annuncio delle prossime restrizioni di livello 3 – per intenderci “una zona rossa” – su Londra, fatto dal Segretario di Stato alla Salute della Gran Bretagna, Matt Hancock. Così le persone hanno messo insieme le due cose e hanno finito col capire che le nuove limitazioni fossero state determinate da un virus improvvisamente mutato e diventato più aggressivo. In realtà, le due cose sono solo casualmente coincidenti.

Circolano dati scientifici relativi alla mutazione segnalata?

Per ora non esiste nulla di pubblicato ufficialmente o revisionato. È stata diffusa una comunicazione in cui si spiega che il Public Health of England ha identificato la variante di Sar-Cov-2 con mutazione singola su spike (la delezione di un amminoacido, ndr), durante il monitoraggio dei casi seguiti nel Kent e a Londra. Si parla di un migliaio di casi sequenziati. Però, ecco, è tutto molto nebuloso.

Sui media il caso ha comunque avuto una certa risonanza

Non è noto se questa mutazione renda il virus più diffusivo o più patogenico, né che significato abbia in generale. A dirla tutta, che ci sia una mutazione non è una notizia eccitante per chi conosce questi virus: nonostante il coronavirus, a differenza di altri virus a RNA come l’HIV, abbia un meccanismo di proofreading, con un controllo sulla sequenza, replicandosi produce mutazioni. Anche in Italia abbiamo già assistito a una mutazione, sempre legata alla proteina spike, che a inizio della pandemia ha reso il virus più diffusivo. Ma non ci sono state evidenze che il virus sia divenuto più patogenico.

Una simile mutazione potrebbe avere ricadute sull’efficacia dei vaccini? 

Non c’è nessuna evidenza che la mutazione possa produrre un’interferenza nella risposta. Del resto, un vaccino stimola una pletora di anticorpi diversi: ora, che questa mutazione inattivi proprio gli anticorpi neutralizzanti fondamentali o che, addirittura, tutti gli anticorpi risultino inattivati mi sembra altamente improbabile.

Dall’Inghilterra può parlare da una posizione duplice, di addetto ai lavori e, contemporaneamente, osservatore esterno. Che cosa cambia nell’affrontare la pandemia? 

In Italia vedo una risposta confusa e litigiosa della politica – tra Governo centrale, Regioni e amministrazioni locali: non si ha certo la sensazione di una linea unica, necessaria per andare in una sola direzione. E poi è preoccupante l’assenza di una risposta solida del mondo scientifico.

Sta dicendo che non c’è rete nella comunità scientifica?

Il mondo scientifico si mostra altrettanto litigioso e, di fatto, manca la voce autorevole della comunità scientifica italiana, non ci sono pubblicazioni scientifiche di peso che si siano rivelate influenti nel corso della pandemia, né trial clinici che abbiano saputo dire quale farmaco funziona e quale no. Sembra che ciascuna infettivologia, pneumologia o rianimazione proceda in autonomia. Né ci sono linee guida unanimemente seguite.

In questo quadro che peso hanno divulgazione e informazione?

In Gran Bretagna tutti stanno aspettando il proprio turno di vaccinazione, c’è decisamente maggiore rispetto e attenzione per la ricerca e la produzione scientifica. In Italia ancora si discute se il vaccino faccia bene o meno, se abbia effetti collaterali “strani”; non sappiamo ancora quando sarà distribuito. L’altra grande differenza è proprio nell’informazione: in Italia tutto viene enfatizzato, i media mainstream danno spesso spazio a sciocchezze. Tutti sono diventati virologi e infettivologi, chiunque può partecipare a trasmissioni televisive. Ma è nei laboratori, trascorrendovi letteralmente giorno e notte, che si annidano i risultati della scienza.

Descrive una realtà decisamente poco adatta alla ricerca.

Non siamo un Paese in cui la scienza è una priorità. E tutto questo è il risultato di oltre quarant’anni di mancati investimenti in ricerca: nel momento della difficoltà, adesso, ne paghiamo le conseguenze. L’Inghilterra investe in maniera pesantissima sulla ricerca, sia con fondi pubblici sia privati: è così che si ritrova con laboratori che sviluppano il vaccino, con una rete nazionale molto forte di università. Per comprendere concretamente la differenza, a marzo, in pieno lockdown e quando la fase acuta della pandemia era appena cominciata, si è attivata una spinta generale nel convincere i ricercatori a lavorare sul Covid-19, sono stati emanati 13 bandi di finanziamento per i ricercatori che volessero dedicarsi al virus, tutti valutati e assegnati con criteri meritocratici. In Italia a luglio il MIUR ha emanato un bando Fisr da poche decine di migliaia di euro: siamo a Natale, non è ancora stato assegnato.

Sintetizza lo sforzo di ricerca e sperimentazione della comunità scientifica internazionale?

Se avessi dovuto rispondere a questa domanda un mese e mezzo fa avrei detto: “Ok, fantastico avere il vaccino, ma funzionerà?”. Onestamente sarei stato possibilista, ma non certissimo. Ora sappiamo che la Pfizer ha sviluppato i test su 40.000 persone, Moderna su 30.000, Astrazeneca su decine di migliaia, tutti con elevati tassi di protezione. Quindi, alla domanda, oggi rispondo: in un tempo così breve, che cosa vogliamo di più?

 

di Sara Lorusso