Roma 30 marzo 2025 (Agenbio) – Le microplastiche disperse nell’ambiente non sono solo un problema di inquinamento visibile: possono diventare vettori per la diffusione di batteri resistenti agli antibiotici, aggravando una delle più serie emergenze sanitarie globali. È quanto emerge da uno studio pubblicato sulla rivista Sustainability, frutto della collaborazione tra ENEA, il Joint Research Centre della Commissione Europea, CREA e le Università di Milano e della Tuscia, nell’ambito del progetto europeo MINOTAUR.
I ricercatori hanno rilevato che le microplastiche – minuscoli frammenti di plastica spesso invisibili a occhio nudo – sono comunemente presenti in ambienti già contaminati da antibiotici, come i suoli agricoli fertilizzati con compost e fanghi di depurazione o le acque reflue. Questa co-presenza crea una sorta di “pressione selettiva” che favorisce la sopravvivenza e la proliferazione di batteri resistenti, contribuendo alla diffusione dei geni che li rendono tali.
«Per la loro composizione e struttura, le microplastiche offrono ai batteri superfici ideali per formare biofilm, vere e proprie comunità microbiche stabili, dove è più facile lo scambio di geni di resistenza», spiega Annamaria Bevivino, della Divisione Sistemi Agroalimentari Sostenibili di ENEA.
Dallo studio sono emersi quattro batteri che colonizzano più frequentemente le superfici delle microplastiche. Questi microrganismi, già presenti nei suoli contaminati, non solo degradano la plastica, ma sono anche coinvolti nel trasferimento di geni di resistenza agli antibiotici. Potrebbero quindi essere utilizzati come bioindicatori per monitorare lo stato di salute del suolo e l’impatto dell’inquinamento plastico sugli ecosistemi.
Attraverso l’analisi del DNA di 885 campioni di suolo provenienti da diversi Paesi dell’Unione Europea, i ricercatori hanno identificato 47 geni coinvolti nella degradazione delle plastiche. Tra questi, i più abbondanti sono associati a composti come stirene, benzoato, benzene e xilene – tutti impiegati nella produzione di materiali plastici come polistirolo e PET. Il gene catE è risultato il più centrale nei processi di degradazione.
L’accumulo di microplastiche nei suoli agricoli rappresenta una minaccia per la produttività e la qualità delle colture. «Alcuni studi hanno osservato un calo della resa agricola tra l’11% e il 24% in aree con elevata concentrazione di microplastiche», evidenzia ancora Bevivino. Questi materiali alterano le proprietà fisiche e chimiche del terreno, influenzano negativamente le comunità microbiche e ostacolano la crescita delle piante, con ricadute dirette sulla sicurezza alimentare.
Secondo la FAO, oltre il 30% dei suoli mondiali è soggetto a fenomeni di degrado, con una perdita annuale stimata di 40 miliardi di dollari in produttività agricola. In Europa, la situazione è ancora più grave: più del 60% del suolo è minacciato da pratiche agricole intensive, urbanizzazione, inquinamento e cambiamenti climatici.
L’uso indiscriminato di fertilizzanti, compost e fanghi di depurazione incrementa il carico di microplastiche nei suoli. Lo studio sottolinea l’urgenza di sviluppare strategie sostenibili per la gestione del suolo e il controllo dell’inquinamento plastico, per proteggere non solo l’ambiente ma anche la salute pubblica, sempre più esposta al rischio dell’antibiotico-resistenza. (Agenbio) Eleonora Caruso 9:00