Intervista a Vincenzo D’Anna sul magazine “Bio’s. Le nuove frontiere della vita”

Pubblichiamo in anteprima l’intervista che Vincenzo D’Anna, presidente dell’Onb, ha rilasciato al magazine “Bio’s. Le nuove frontiere della vita”, edito dall’Ordine dei Biologi.

 

Per l’Ordine dei Biologi, che da gennaio 2023 sarà Federazione degli undici Ordini regionali, si annuncia una sorta di “rivoluzione copernicana”, in cui le istanze locali avranno più ampi margini di rappresentatività e di espressione. Ma a monte di questo cambiamento ce ne sono stati altri, sostanziali, che dovranno essere interpretati e consolidati anche dall’Onb che verrà.

La crescita professionale e il rafforzamento identitario della categoria richiedono ancora un impegno su più fronti, come spiega Vincenzo D’Anna, biologo dal 1976 e presidente di Onb dal novembre 2017: «Dal futuro dobbiamo aspettarci, anzi esigere, la piena consacrazione della figura del biologo, che in passato veniva di fatto confusa con quella di medico, chimico, tecnico di laboratorio, quando ha invece una sua forte specificità – afferma. – Certo, di strada ne è stata fatta tanta, con una notevole accelerazione in questi ultimi anni. Basti pensare che fino a poco tempo fa il nostro Ministero di riferimento era quello di Grazia e Giustizia, ben poco interessato a una categoria che trattava materie completamente avulse dalle sue naturali competenze. Siamo professione sanitaria, sotto l’egida del Ministero della Salute, solo dal 2018. E da allora abbiamo affrontato un grande lavoro di riorganizzazione dell’Ordine, sia dal punto di vista delle attività che della comunicazione agli iscritti e al pubblico».

 

In che modo si è concretizzato questo impegno?

Essenzialmente attraverso due direttrici. La prima è quella interna: abbiamo rimodernato gli uffici e creato una serie canali sia di comunicazione che di acquisizione dati. L’Ordine non aveva le mail, i recapiti di telefonia mobile e tantomeno gli indirizzi Pec di quasi la metà degli iscritti. Era quindi materialmente difficile mettersi in contatto con gran parte dei destinatari e soprattutto depositari della nostra azione amministrativa. Una situazione del genere andava radicalmente cambiata, anche a prezzo di uno sforzo senza precedenti. In quest’ottica rientra tutta l’attività degli ultimi quattro anni e mezzo: i giornali, il sito, l’Area riservata, le pagine social, la formazione, i webinar, la nuova piattaforma informatica di teleconsulto professionale appena varata in collaborazione con Enpab, e naturalmente gli oltre 250 eventi che hanno permesso ai biologi di incontrarsi, fare rete, affacciarsi nel vivo dell’Ordine e al contempo delle altre istituzioni anche scientifiche e accademiche coinvolte. La seconda linea di intervento, sviluppata di pari passo, è esterna: ora Onb è provider di Agenas, il più importante ente pubblico di supporto tecnico e operativo al Ministero della Salute, e di Accredia, ente nazionale di certificazione. Passi fondamentali per garantire un’adeguata tutela ai biologi, e in particolare ai laboratoristi. E da quattro anni, finalmente, i biologi sono presenza costante e incisiva ai tavoli di concertazione del Ministero della Salute.

 

Si può dire che in questi ultimi anni la percezione del ruolo dei biologi sia cambiata non solo a livello politico e istituzionale, ma anche nell’opinione pubblica?

Certo. Ora siamo più conosciuti e riconoscibili. Una forte scossa in tal senso è venuta dal Covid, evento tragico e traumatico che dall’oggi al domani ha acceso i riflettori su di noi. La gente ha potuto farsi un’idea dell’impatto del nostro lavoro – dall’analisi alla ricerca, dalla sperimentazione al monitoraggio clinico e ambientale – sulla vita quotidiana, la salute, il benessere delle persone. Credo e spero che da questa nuova percezione, o meglio da questa migliore conoscenza della nostra realtà e responsabilità professionale, non si tornerà indietro.

 

Quali sono a suo avviso le branche della professione di biologo che oggi sono più che mai alla ribalta e oggetto di particolari aspettative, se non di grandi speranze?

Direi la biologia molecolare, la genetica, la genomica. Penso in particolare alla medicina personalizzata e predittiva, con le sue applicazioni nella diagnosi e cura delle patologie oncologiche, cardiovascolari, neurologiche. Alla possibilità di modificare, di correggere l’espressione genica per sconfiggere malattie rare e alcuni tipi di leucemia. È straordinario, e stupisce persino chi ci è dentro fino al collo, il fatto che una scienza relativamente giovane come la biologia offra ogni giorno nuove scoperte, avvicinandosi ormai alla conoscenza completa del genoma umano, cioè del grande libro della vita. Alla ribalta è anche la procreazione medicalmente assistita, cui ricorrono sempre più spesso le giovani coppie per combattere l’infertilità. Ma c’è anche un altro grande elemento innovativo, che interpreta lo spirito del tempo e riguarda l’ambiente: la nostra centralità nella One Health, approccio globale e integrato alla salute, nel segno dell’interconnessione tra benessere umano, animale e degli ecosistemi. Una logica secondo cui la nostra salute non può prescindere dall’importantissima interazione tra l’ambiente e il nostro patrimonio genetico, e in cui i biologi hanno un ruolo fondamentale, di vero e proprio pilastro.

 

Quali sono le figure professionali più importanti nella One Health?

Sono molte. Possiamo dire che in tutti i segmenti di One Health servono biologi. Non a caso Onb si sta adoperando affinché siano sempre più presenti anche nella legislazione che disciplina i processi dell’intero circuito, oltre che nei processi stessi. In questo nuovo concetto di salute globale c’è bisogno di genetisti e di analisti, di biologi sanitari e molecolari, di biologi ambientali. E c’è naturalmente bisogno anche di nutrizionisti, perché buona parte degli stati tossici dovuti all’accumulo di metalli pesanti e di prodotti da degradazione chimica e biologica – causa primaria dei fenomeni di modificazione epigenetica – possono essere contrastati anche attraverso una corretta alimentazione detossificante.

 

Passando dall’ambiente al territorio, si usa dire che in Italia, paese bello ma fragile tanto che sta prendendo forma l’idea di un Dipartimento delle emergenze, ogni Comune dovrebbe avere un geologo. E un biologo, invece, servirebbe?

Sì, e molto. Non a caso come Onb abbiamo lanciato la proposta del “biologo di comunità”, ottenendo l’attenzione dei decisori politici anche attraverso una serie di eventi organizzati presso il Senato e la Camera dei Deputati. In Italia siamo dotati di una Protezione civile che interviene nella gestione dell’emergenza, cioè sostanzialmente a danno fatto. Bisogna invece costruire una solida rete di prevenzione che funzioni anche in “tempo di pace”, e a maggior ragione in un’era di transizione ecologica. In questa rete i biologi possono rivestire un ruolo tutt’altro che secondario, tenendo conto anche della multidisciplinarietà che è tratto peculiare della loro formazione. Se in forze a un ente pubblico, un biologo potrebbe sovrintendere alla corretta applicazione del ciclo dei rifiuti solidi urbani, occuparsi di ciclo delle acque e di zone costiere, contribuire a qualsiasi valutazione di rischio e impatto ambientale o sanitario. Si andrebbe così a colmare una lacuna oggettiva, perché oggi in Italia gli ecosistemi sono affidati in massima parte a se stessi: ovunque mancano vigilanza, prevenzione del degrado, protezione pianificata rispetto alla pressione antropica. E c’è poi tutto il versante della sicurezza alimentare, dei piani di nutrizione delle mense comunali: ambiti in cui la presenza di un biologo sarebbe più che auspicabile e porterebbe un valore aggiunto. Attualmente gli enti locali esternalizzano molti incarichi che potrebbero essere invece affidati – con miglioramento della qualità e della continuità del servizio, e con vantaggio anche economico per la collettività – a un biologo dipendente. Già solo un’unità formata da un paio di biologi potrebbe risolvere, e bene, tutta una serie di compiti che ogni Comune di media grandezza affronta quotidianamente.

 

Oggi come oggi, cosa distingue i biologi italiani dai loro colleghi europei in termini di formazione e di status professionale?

Innanzitutto l’Italia è l’unica nazione europea che dal lontano 1967, con la legge 396 che istituì l’Onb, ha codificato le mansioni, le speciali competenze e l’esistenza stessa della nostra professione. Abbiamo insomma una legislazione ad hoc che regolamenta la nostra attività. Questa è una peculiarità solo italiana, perché nel resto d’Europa si diviene biologist passando per così dire “attraverso” altre figure professionali, in primis quella del farmacista. Un riconoscimento di questa nostra specificità è arrivato anche con la nomina del dottor Corrado Marino, responsabile Onb per le relazioni internazionali, a vicepresidente dell’ECBA (European Countries Biologists Association), incarico che ricopre dal 2020.

 

Questa specificità è anche nella formazione post laurea?

Sì, e può essere rivendicata come motivo di vanto oltre che di grande lavoro, vista la poliedricità delle competenze attribuite alla figura del biologo, tale da spaziare in circa ottanta diverse tipologie di impiego professionale. Va detto che per Onb seguire capillarmente tutti questi segmenti di esercizio della professione sarebbe di fatto impossibile; quindi li raggruppiamo per tematiche affini, impegnandoci a fornire una formazione non solo gratuita, mirata ma al tempo versatile, e soprattutto aggiornata, come si conviene a una scienza in continua e rapida evoluzione.

 

Su quali strumenti e prospettive può contare oggi chi sceglie di diventare biologo, rispetto a chi ha intrapreso la professione in passato?

Guardando agli anni Settanta, quelli in cui ho studiato e iniziato a lavorare, vedo letteralmente un altro mondo. Si pensi ad esempio a quanto i biologi venivano osteggiati dai medici, che per la direzione di laboratorio pretendevano elenchi distinti. Le strade professionali erano strettamente delimitate, quattro o cinque a fronte delle ottanta oggi percorribili: c’era davvero poco altro al di là dei laboratori di analisi e dell’insegnamento. Era un’epoca in cui a livello generale si disconoscevano i problemi ambientali, con l’unica eccezione della cementificazione selvaggia; industrializzazione e urbanizzazione venivano ancora generalmente considerati fatti positivi o scelte quasi obbligate, indipendentemente dalle modalità con cui si realizzavano. Lo stesso concetto di nutrizione era alquanto fumoso. Dovevano ancora prendere forma consapevolezze, conoscenze e sensibilità che sono oggi saldamente acquisite. Mancavano insomma i campi di inserimento e la capacità di sviluppo di tutte quelle potenzialità che pure erano nelle attribuzioni conferite ai biologi dall’articolo 3 della legge istitutiva.

 

Alla luce della sua duplice esperienza di biologo “militante” e di presidente Onb, cosa vorrebbe dire a un giovane che oggi muove i suoi primi passi?

Sono consapevole delle difficoltà che i giovani possono incontrare e dell’impegno notevole che si richiede loro, a cominciare da un percorso universitario di cinque anni e una trentina di esami, laddove il nostro era di quattro anni e 19 esami. Credo che ognuno di loro meriterebbe un sostegno sempre più concreto da parte dell’Ordine, per dispiegare al meglio le proprie competenze ed entrare in un mondo del lavoro che è certamente molto più “affollato” rispetto ai tempi in cui io ho cominciato. Al contempo, a ognuno tengo a ricordare che oggi le opportunità di inserimento professionale si sono moltiplicate, e che con una preparazione adeguata possono essere colte. E guardando ai cinque anni appena trascorsi, sono contento di poter affermare che un giovane laureato in Scienze Biologiche ora può contare su un Ordine più organizzato e su uno status di professione sanitaria in cui rientrano tutele, oltre che possibilità lavorative, fino a poco tempo fa inimmaginabili. Questi giovani biologi non dovranno per fortuna sperimentare la condizione da ebrei erranti vissuta da noi “veterani”, in tempi in cui la biologia veniva considerata una sorta di sottoprodotto della medicina o nella migliore delle ipotesi un ramo delle scienze fisiche e naturali privo di connotati ben definiti. Per fortuna possiamo parlare di tutto questo al passato.

 

Si può dire che il rinnovamento è stato in primo luogo culturale?

Sì: il denominatore comune, il filo rosso che lega tutte le azioni tese al rinnovamento, o se si vuole le battaglie condotte affinché alla nostra figura professionale venisse attribuito un giusto valore, è proprio un’operazione di tipo culturale. In questa logica rientra anche il grande sforzo di comunicazione sia agli iscritti che alla società. L’impegno profuso ha già dato frutti importanti e risultati evidenti, ma ci sono ancora moltissime cose da fare. Anche il nostro rinnovamento, come d’altronde ogni altro, deve essere consolidato.

 

A proposito di società: cosa vuol dire oggi, per chi fa “scienza della vita”, rapportarsi ad essa nel miglior modo possibile?

Ci sono temi di assoluto rilievo sociale ed etico che passano per le mani dei biologi, pretendendo risposte di coscienza insieme a quelle prettamente scientifiche: eugenetica, manipolazione del Dna e degli embrioni, procreazione medicalmente assistita, per citare soltanto i più cruciali. Ciò comporta responsabilità che avvicinano la figura professionale del biologo a quella del medico, nella funzione di tutela non solo della vita, ma della fisiologia stessa della vita. In questo scenario ai biologi, così come ai medici, spetta rifiutare le soluzioni in cui l’artificialità andrebbe a sopraffare brutalmente la natura, ma anche rendere avveduta la società rispetto a tutto ciò che potrebbe configurarsi come deriva inutile o addirittura scellerata della scienza.

 

Dal punto di vista istituzionale ci sono nuovi traguardi in vista per Onb?

Stiamo proponendo al ministro Speranza, che a dire il vero ha risposto con entusiasmo, di disciplinare con una legge ad hoc il campo della nutrizione, nel quale tra medici, biologi e dietisti intervengono più di 20mila soggetti. Abbiamo chiesto inoltre l’aumento dei posti disponibili per i biologi nelle scuole di specializzazione in Genetica ed Embriologia, sia tenendo conto del ruolo fondamentale svolto dai colleghi che si occupano di procreazione medicalmente assistita, sia per rimediare alla lacuna rappresentata dalla mancanza di una specializzazione in ecotossicologia ambientale. Un clamoroso anacronismo, considerando quanto sia oggi importante il biomonitoraggio ambientale e la valutazione dei suoi effetti sulla salute umana.

 

Fermandoci al futuro prossimo, ben prima cioè del simbolico 2030, quali sono i suoi desiderata per i biologi?

Viviamo in un arco storico e scientifico nel quale la biologia, insieme alla fisica teorica, è la punta di diamante dell’innovazione e della conoscenza. Però c’è ancora tutta una serie di nostre competenze che devono essere messe in risalto e adeguatamente ufficializzate. Intendiamoci, non si tratta di mera rivendicazione di categoria, ma di un atto dovuto: ci sono vasti settori della scienza all’interno dei quali la figura del biologo per le sue competenze è insostituibile. Ed è ora che anche i decisori politici, le istituzioni, la società tutta ne prendano atto.

 

Qual è il più grande ostacolo da superare?

Per dirla con Freud, è un “nemico interno”. È una questione che ho avuto più volte modo di sollevare: siamo migliorati nell’organizzazione; ma non esiste ancora uno spirito di categoria. Circa la metà dei nostri iscritti non legge le comunicazioni che Onb spedisce via mail, la newsletter, i messaggi; non partecipa non dico alla vita dell’Ordine, ma almeno alla conoscenza delle sue iniziative. Eppure in quelle informazioni ce ne sono spesso di utili anche ai fini dell’occupazione. Un esempio recente è quanto è accaduto in emergenza Covid: l’Onb è intervenuto ottenendo per i suoi iscritti l’aggiornamento di tutte le piante organiche e le graduatorie del Sistema sanitario nazionale, il biologo vaccinatore è stato inserito nelle unità di crisi, sono state definite intese con Federfarma per disciplinare il ruolo dei biologi nelle farmacie dei servizi. Azioni che si sono tradotte in migliaia di opportunità lavorative. Chi non si degna nemmeno di aprire una mail non perde solo occasioni di aggiornamento su temi che dovrebbero essere pane quotidiano nell’attività di qualsiasi biologo: perde anche le opportunità che un Ordine efficiente e ben strutturato, come ora è il nostro, può offrire ai suoi iscritti. Rivolgo a tutti i colleghi, giovani e no, un invito – anzi, un appello – a superare questa barriera. Credo che questo sia un punto fondamentale: informiamoci, collaboriamo anche al limite muovendo critiche ragionevoli, diamo il nostro contributo in termini di idee e proposte. Facciamo rete, con convinzione. Sarà un vantaggio per tutti.