L’importanza naturalistica, culturale, terapeutica e scientifica di boschi e foreste

Roma 4 maggio 2022

Alla c.a. della dott.ssa. Lorenza Cerbini

 

Gent.issima,

in merito all’articolo da lei scritto, dal titolo “Cresce l’area dei boschi, ma sono abbandonati”, pubblicato sulle colonne del Corriere della Sera nell’edizione dello scorso 29 aprile, è mio dovere, come presidente dell’Ordine Nazionale dei Biologi, precisare e sottolineare non solo l’importanza naturalistica, culturale, terapeutica e scientifica rivestita da boschi e foreste in un contesto, quello attuale, particolarmente delicato per le sorti dei nostri ecosistemi, ma anche l’approccio non sempre corretto utilizzato da quanti, nel momento in cui si parla di “oasi verdi”, preferiscono interpellare solo una tipologia di tecnici e scienziati che vive e lavora in questo campo, ignorando chi, da tempi antichi, se ne occupa in modo molto più esaustivo (botanici, ecologi, zoologi ovvero biologi). Se così non fosse accaduto, si sarebbe infatti saputo che non è vero – come asserito da varie Istituzioni – che i boschi in Italia stanno aumentando e che, in realtà – dati FAO e WWF alla mano – è semmai la loro superficie (non certo la qualità) ad essere cresciuta. Si tratta di aree rurali marginali, un tempo utilizzate a scopo agricolo e poi abbandonate, in altri casi a un semplice cambio nella definizione di bosco voluto dal Tuff (D.Lgs. n. 34/2018 artt. 3-4-5). Ebbene, prima che queste si trasformino in boschi o foreste occorreranno decenni. Sempre che la mano dell’uomo non le riconduca al punto di partenza! Certo di farle cosa gradita e per fare profonda chiarezza sull’argomento, le giro un’approfondita relazione firmata dai colleghi biologi ambientali Pieralisa di Felice, Giuliano Russini e Francesco Aru.

Cordiali saluti

Sen. Dott. Vincenzo D’Anna

Presidente Ordine Nazionale dei Biologi

 

Fotografia 1. Grave destrutturazione e semplificazione della matrice paesaggistica per avvio di attività di ceduazione

L’importanza naturalistica, culturale, terapeutica e scientifica di boschi e foreste

Di: Pierlisa di Felice, Giuliano Russini, Francesco Aru (Ordine Nazionale dei Biologi)

 

Le foreste e i boschi rivestono importantissimi ruoli sotto l’aspetto biologico-naturalistico, scientifico, ecologico, etno-antropologico, terapeutico e non solo: pertanto non possono rappresentare esclusivi bacini di gestione per lo sfruttamento del legname. Un importantissimo ruolo ecologico delle foreste risiede nella loro azione sull’atmosfera con produzione di ossigeno e sottrazione di anidride carbonica, liberazione di vapore acqueo essenziale per il ciclo idrologico, mitigazione della calura e organicazione del carbonio. Degradare le foreste, abbatterle, o non permettere loro di riformarsi, produce quindi effetti negativi rilevanti anche a grandi distanze temporali e spaziali.

I substrati forestali (lettiere, ecc.) costituiscono un filtro attivo per l’acqua e, la presenza di vaste aree con boschi fitti e ben articolati, contribuisce in maniera significativa a prevenire l’inquinamento delle falde superficiali. Le foglie degli alberi, inoltre, sono filtri attivi per i gas, le particelle inquinanti e i particolati atmosferici (PM 10, PM 2,5) presenti nell’aria. Gli alberi più longevi (vetusti) ed alti, assolvono meglio a queste funzioni rispetto alle giovani piante, danno inoltre rifugio e ospitalità a numerose comunità di viventi. Una foresta con il suo ecosistema in ottima salute, in condizioni di forti precipitazioni è in grado di regolare il deflusso superficiale delle acque e prevenire il dilavamento del suolo. Gli organi aerei nelle piante del bosco intercettano forti percentuali di pioggia (stemflow e throughfall) trasferendo al suolo l’acqua, priva di azione erosiva e ricca di nutrienti presenti sulle chiome (polveri atmosferiche e sostanze organiche). Gli apparati fogliari acquistano una grande importanza nella riduzione dell’energia cinetica delle gocce d’acqua piovana (causa della Splash Erosion) molto elevata durante i temporali e nelle piogge convettive (bombe d’acqua) sempre più presenti in ambiente mediterraneo. Il sottobosco, insieme agli alberi,

Fotografia 2. Schianti per alterazione del microclima e maldestra distribuzione del frascame perpendicolarmente alle curve di livello in avviamento a fustaia Q. ilex

fornisce un contributo fondamentale nel ridurre questa energia cinetica: infatti le lettiere organiche, quando ben articolate nei loro orizzonti (OL-OF-OH) e loro sottorizzonti (Référentiel Pédologique, 1995) hanno funzione di spugna e cemento degli aggregati. Le radici degli alberi trattengono il terreno impedendo di fatto frane e limitando l’erosione del suolo. La vera azione anti-erosiva risiede nel complesso sistema integrato “foresta”, costituito dalle chiome e dai differenti livelli (arboreo, arbustivo, erbaceo, fungino, muscinale e lettiera) e dal rapporto suolo-radici. Una foresta in ottima salute mitiga le condizioni di eccessiva calura e la siccità durante la stagione estiva, creando un proprio microclima con estremi più attenuati rispetto all’ambiente esterno. Un’altra proprietà straordinaria è la protezione dal vento (azione barriera-frangivento), un fattore atmosferico limitante per le produzioni agricole e forestali. Il vento, sottrattore di umidità, favorisce la traspirazione delle piante che vi si oppongono chiudendo gli stomi delle foglie; ciò riduce l’assorbimento del biossido di carbonio (CO2), rallentando il processo di fotosintesi e quindi la resa produttiva della pianta.

Un bosco quindi non è solo una semplice piantagione di alberi, ma è un insieme di complesse e delicate interazioni tra organismi viventi, ambiente e sistema abiotico.

Fotografia 3. Gravi, vasti e diffusi fenomeni erosivi del suolo per alterazione strutturale del sottobosco, in fustaia avviata

Anche  la cosiddetta “Terapia forestale” che numerosi psichiatri, psicologi e psicoterapeuti stanno utilizzando per migliorare la vita di molti pazienti affetti da turbe depressive e problemi esistenziali, dimostra alla luce della “ONE HEALTH” l’enorme ruolo psicofisico-terapeutico che hanno i boschi, tanto che già dopo breve tempo di permanenza in un’area boschiva, ci si sente meglio, la pressione sanguigna si regolarizza, i valori glicemici tendono a normalizzarsi e ci si sente più rilassati, come i dati della medicina ambientale ci dimostrano su migliaia di persone.

È diffusa un’informazione non del tutto veritiera ed esaustiva, proposta da molte istituzioni e spesso pubblicata su diverse testate giornalistiche, secondo cui i boschi in Italia stanno aumentando. Questo dato è stato acquisito interpellando solo una tipologia di tecnici e scienziati che si occupano di questo settore, ignorando invece un altro vasto settore professionale che da tempi remoti si interessa della materia in modo completo, olistico ed esaustivo (botanici, ecologi, zoologi ovvero i Biologi). Di fatto, questa affermazione non corrisponde alla realtà, perché (dati FAO e WWF) sta aumentando la superficie classificabile come tale e non la qualità dei boschi.  Di fatto la stessa definizione di bosco è stata modificata portando a definire “bosco” ciò che bosco ecologicamente parlando non è (TUFF – D.Lgs. n. 34/2018 artt. 3-4-5). Trattasi, infatti, di aree rurali marginali, collinari e montane, utilizzate a scopo agricolo fino a qualche anno fa, poi abbandonate per lo scarso valore economico delle produzioni ottenute. In tali aree si sta verificando una ricolonizzazione da parte di specie vegetali spontanee primarie, che in base alle caratteristiche climatiche, geologiche, geomorfologiche, pedologiche e bioclimatiche attuali, sta organizzandosi con un riavvio delle successioni ecologiche: si tratta della Vegetazione naturale potenziale (VNP). Queste formazioni danno luogo, attualmente e spesso, a boschi secondari a basso valore ecologico, in alcuni casi caratterizzati da specie aliene ed invasive quali: Ailanthus altissima (Mill.) Swingle, Robinia pseudoacacia L., Acacia spp., ecc., caratterizzati, anche, da una fauna tipica, lettiere organiche spesso di non elevata qualità (Mor) sino all’assenza di decomposizione della sostanza organica per assenza di specifici degradatori. Prima che queste formazioni diventino boschi o foreste nel senso classico del termine trascorreranno decenni, sempre che il disturbo e la pressione antropica, non ne determino una regressione o un’assenza di evoluzione verso formazioni più naturali. È  noto e ben documentato in letteratura, che le formazioni boschive vetuste, in certi casi con la presenza di un fitto sottobosco, specie lianose, varie entità sciafile, presenza di tronchi in decomposizione a terra, piante cadute, vetusti alberi con grandi carie, sono fondamentali ripari e nicchie ecologiche per numerose specie animali: invertebrate e vertebrate, funghi, batteri, protozoi che qui svolgono  gran parte del loro ciclo vitale decomponendo la sostanza organica vegetale e decomponendosi a loro volta, dopo la morte, arricchiranno le lettiere forestali. Cibo indispensabile per l’EDAFON, comunità di microscopici e piccolissimi esseri: batteri, funghi, alghe, protozoi, rotiferi, tardigradi, oligocheti, microinsetti ecc. che popolano questa buia città sotterranea, mantenendo e perpetrando con la loro attività i cicli biogeochimici. In queste formazioni ecologicamente evolute, ridondanti di Biodiversità, si rileva la maggior efficienza del sistema con i più elevati coefficienti fotosintetici, ne consegue un aumento nello stoccaggio del carbonio proveniente dalla CO2 atmosferica. Formano veri e propri serbatoi di C (carbonio). Di fatto, grazie all’humus e alle lettiere, i suoli forestali risultano particolarmente ricchi di materia organica se confrontati con i suoli agricoli o formazioni boschive semplificate, rappresentando uno dei principali sink su scala globale ed assumendo quindi funzioni di insostituibili produttori di Servizi Ecosistemici per il genere umano.

Il governo del bosco a ceduo è possibile solo per i soprasuoli di latifoglie, perché capaci di rigenerare i fusti da gemme dormienti nella ceppaia. Il bosco a ceduo può essere trattato come:

  • ceduo semplice trattamento nell’ambito del governo a ceduo in cui tutti i fusti vengono tagliati contemporaneamente, quindi il bosco è coetaneo;
  • ceduo matricinato trattamento che prevede, all’atto del taglio del ceduo che vengano rilasciate un certo numero di piante nate da seme o scelte tra i polloni migliori (le matricine), per assicurare una adeguata riserva di seme onde poter sostituire eventuali ceppaie che ormai invecchiate non producono nuovi polloni. Le matricine vengono rilasciate in un numero variabile da poche decine a 120/180 per ettaro, sparse o in gruppi il bosco è coetaneo. Le restanti piante vengono trattate come un ceduo semplice;
  • ceduo a sterzo il trattamento prevede che sulla stessa ceppaia vengano tagliati soltanto i fusti più vecchi, il bosco quindi è disetaneo, sulla stessa ceppaia convivono polloni di età differente.

Il turno è l’intervallo di tempo tra un taglio e l’altro, va dai 15/16 anni per il carpino ai 20-25 per faggio e leccio, la durata del turno può essere condizionata da considerazioni di tipo: fisiocratico, tecnico, commerciale, economico, legislativo; o come diversamente previsto dallo strumento di gestione del bosco (se presente), Piano Assestamentale o PFP. Caso a parte è il governo a fustaia.

 

Il trattamento del ceduo (escluso ceduo a sterzo) prevede sempre un taglio a raso sia esso con rilascio di matricine o senza matricine ceduo semplice: in Italia è la metodica gestionale privilegiata per la produzione di legna da ardere. Questo tipo di gestione impedisce, generalmente, un’elevata evoluzione della formazione forestale riducendone le funzioni ecosistemiche e inoltre senza ottenere degli assortimenti legnosi importanti e di elevata qualità commerciale (bordonali o travature, tondoni o tronchi da sega). Di contro la Francia e altre nazioni, privilegiano il governo a fustaia che per le fustaie coetanee, di specie quercine, trattate a taglio a raso o a tagli successivi, prevede dei turni minimi di 100 anni; permettendo una migliore evoluzione delle formazioni boschive e garantendo, inoltre, legname con assortimenti di maggiore qualità commerciale.

Nel governo a ceduo semplice o matricinato, il taglio a raso determina ampie zone di scopertura dei suoli forestali con esposizione delle lettiere alla radiazione solare che determina forti e rapide perdite di umidità, aumento delle temperature, celere mineralizzazione e ossidazione della sostanza organica con conseguente perdita della qualità e delle funzioni, inclusa quella di serbatoio di C (carbonio). Inoltre la realizzazione di queste attività antropiche di carattere distruttivo, come appunto i tagli forestali inadeguati, non consoni alle specifiche situazioni ambientali, aumenta il pericolo che il suolo perda la sua compattezza e la sua stabilità per la dirompente azione delle piogge non più frenate dalle chiome degli alberi. Quale immediata conseguenza si ha l’asportazione delle lettiere e il dilavamento del suolo con processi erosivi vasti e diffusi e in vari casi irreversibili.

Il problema, quando si parla di un bosco, non è solo di tipo filosofico-metodologico ma un vero problema concettuale, ci si deve porre di fronte a un quesito imperativo: che cosa è un bosco e, se siamo uomini di scienza e ci troviamo ad esempio in un’area SIC, ma non solo, è imperativa la domanda che cosa è un habitat? Quali sono le sue funzioni? Perché questo ci chiede la Comunità Europea. Secondo la direttiva Habitat n. 92/43/CEE, il bosco di leccio, ad esempio, è l’habitat cod. 9340, le Foreste di Ilex aquifolium è l’habitat cod. 9380, ecc., all’ora l’habitat è solo un numero?

Una definizione semplificata del termine habitat, che in latino significa “egli abita”, possiamo trarla dall’enciclopedia Treccani: “l’insieme delle condizioni ambientali in cui vive una determinata specie”.

Con termini più specifici, l’habitat “bosco” è una formazione composta da numerose specie vegetali, ma anche animali, funghi e tanto altro, caratteristica di quel territorio e di quella formazione, tali specie sono in armonia tra loro e con l’ecosistema (la fitocenosi, esempio di Biodiversità), pluriplana e disetanea quando massimamente evoluta dal punto di vista strutturale ed ecologico.

Il concetto di biodiversità proietta, poi, il problema molto al di là della protezione di singole specie o biotopi, interessa gli ecosistemi e il loro funzionamento e include i processi coevolutivi tra i componenti che li costituiscono. Ecosistemi diversi danno luogo a forme di vita, culture, boschi e habitat diversi (quale conseguenza ogni bosco è diverso dall’altro, sulle dolomie paleozoiche troviamo boschi diversi da quelli su dolomie mesozoiche, diversi da quelli sui graniti o sugli scisti, pur apparentemente tutti magari di specie quercine) la cui coevoluzione determina la conservazione della biodiversità.

L’habitat “bosco” è quindi un sistema complesso. La sua gestione dal punto di vista ecologico, deve essere finalizzata alla tutela, è opposta a certi tipi di gestione forestale il cui fine è espresso invece da una compresa, una particella, un’unità produttiva silvana da assestare e normalizzare per ottenere un prodotto annuo massimo e costante che è il principio regolatore dell’assestamento forestale, che porta alla semplificazione del sistema per motivi gestionali. (Aru, Aru, Tomasi, 2018)

Non sempre può essere trovato un punto d’incontro tra la gestione volta alla tutela e conservazione dei valori paesaggistici ed ecologici, come richiesta dalle leggi sull’ambiente e il paesaggio, nell’interesse comune delle attuali e future generazioni, con le attività produttive forestali, atte a foraggiare la filiera del legno e delle biomasse nell’interesse di pochi singoli. Queste ultime, in situazioni estremamente delicate determinano delle problematiche che non ne consentono lo svolgimento, inoltre i benefici economici ricavati nell’immediato sono sempre inferiori al valore economico dei servizi ecosistemici ottenuti da una gestione di tipo naturalistico.

È falsa l’affermazione che: “per restare in salute un bosco ha bisogno dell’uomo che ne curi il taglio e il sottobosco”; di fatto: “L’essere umano, non serve ai boschi, alle foreste come si vuole far credere, questi ecosistemi sanno governarsi autonomamente, posseggono una elevata omeostasi, sono sistemi autopoietici, se non fortemente alterati e degradati dall’uomo mantengono un elevato grado di resilienza”.

La comparsa dell’Homo sapiens avviene, sulla terra, circa 300.000 anni fa, mentre ben 700 milioni di anni or sono si differenziarono le prime alghe pluricellulari, forme di vita autotrofe. 300 milioni di anni dopo, comparvero semplici piante peduncolate capaci di crescere anche fuori dagli ambienti acquatici. Circa 430 milioni di anni fa, da un gruppo di briofite (muschi) discendenti delle alghe ancestrali, si staccarono le prime piante dotate di un sistema vascolare (tracheofite). Sul finire del Paleozoico 252 milioni di anni fa, comparve il seme e le piante che lo utilizzeranno saranno chiamate Spermatofite la divisione di piante più diffusa sulla terra. A quel tempo l’uomo non calpestava ancora il suolo terrestre. Uomo che comparso da soli 300.000 anni è riuscito in pochi secoli a ridurre il patrimonio forestale a solo 1/4, di quello che ricopriva le terre emerse prima della sua venuta.

La deforestazione e lo sfruttamento vergognoso (che dovrebbe essere un uso sostenibile) dei boschi causato dall’uomo moderno, determina una costante perdita di queste superfici, contribuendo significativamente alla formazione di fenomeni atmosferici estremi (tempeste e tornado, bombe d’acqua, esondazione dei fiumi, perdita della naturale regimazione delle acque, siccità, avanzamento della desertificazione, riduzione della fertilità dei suoli, ecc.); fenomeni che determinano danni all’intera umanità per miliardi e miliardi di euro. Inoltre, l’incremento di queste attività forestali, anche per la crescente necessità di biomasse conseguente a nefasti incentivi sulla loro utilizzazione per la produzione di energia, aumenta drasticamente la nostra impronta ecologica trasferendo problematiche ambientali su paesi terzi, spesso molto poveri e tecnologicamente arretrati. La riduzione delle superfici forestali ha un ruolo determinante sui cambiamenti climatici, a scala planetaria, contribuisce alla perdita di ecosistemi e biodiversità, causa l’estinzione di specie animali e vegetali ancor prima della loro scoperta. Si stima che l’attuale biodiversità (fauna e flora), in termini di “Capitale Naturale”, abbia un valore apprezzabile nella metà del PIL planetario, cioè circa 47 trilioni di dollari (Dati PIL del Fondo Monetario Internazionale).

Appare palese che il perdurare di tali attività speculative su boschi e foreste, causeranno in breve tempo un deterioramento economico globale.

Alla luce delle attuali conoscenze, appare chiaro, che la perdita di boschi e foreste, può determinare il fenomeno dello “Spillover”, ovvero il salto di specie di un patogeno, ad esempio virale (vedi la recente pandemia da COVID-19), che dagli animali selvatici passa all’uomo.

Se non si cambierà subito l’approccio consumistico verso questi ecosistemi, smettendo di sfruttarli irrazionalmente e adottando metodiche di utilizzazione sostenibili, più consone alla loro tutela, i danni saranno presto irreversibili. Si andrà sempre più velocemente verso (ma forse, lo abbiamo già superato) il punto di non ritorno, dove il disastro ecologico globale sarà definitivo, tanto quanto quello che stiamo realizzando con il continuo deterioramento dei mari, degli oceani e delle acque interne (laghi e fiumi). Speriamo che l’uomo capisca presto che tipo di approccio deve adottare per salvare il suo pianeta, per salvare la sua casa, approccio che dovrà e potrà essere solo ed esclusivamente di rispetto e di tutela, cioè di tipo ecologico, nel vero significato del termine oikos (οἶκος) “casa” o anche “ambiente”; logos (λόγος), “discorso” o “studio”. Questo nell’interesse delle attuali e delle future generazioni, pena l’estinzione del nostro stesso genere, del genere umano dall’intero pianeta.