I retrovirus endogeni nell’evoluzione umana

Ormai molti di noi sono consapevoli che una parte considerevole (45% o più) del genoma umano è costituita da elementi trasponibili, cioè di sequenze genetiche mobili (ripetizioni di Alu e gli elementi nucleari lunghi e brevi intercalati (LINE e SINE)). Un enorme quantità pari al 18% di questa cosiddetta “materia oscura del genoma” è costituita da sequenze retrovirali lasciate da antiche infezioni nelle cellule della linea germinale. Ciò significa che, in totale, circa l’8% del genoma umano è retrovirale, rispetto a solo l’1,5% dei geni umani al punto da poter affermare che i retrovirus superano la parte umana in noi! A causa delle mutazioni, i virus non funzionano più come virus integri, ma sono un insieme di parti frammentate.

Considerando che il corpo umano svolge circa 10.000 miliardi di divisioni cellulari nel corso della vita, la replicazione e il mantenimento di questo ammasso di “cianfrusaglie” virali richiede una notevole quantità di energia e risorse. Allora, perché continuiamo a mantenerlo? Probabilmente per la stessa ragione per cui si ha un cassetto in cui si mettono le cose che non si usano più per mancanza di motivazione per ripulire (dal punto di vista biologico: debole selezione purificatrice), unita al pensiero che “questa roba potrebbe tornare utile un giorno.”

In realtà, sembra che un’importante innovazione evolutiva – la placenta – sia dipesa da parti estratte dal “cassetto della “cianfrusaglia” genomica”.

 

La nascita della placenta

La placenta si è evoluta negli antenati dei mammiferi circa 150 milioni di anni fa ed è una caratteristica della grande maggioranza dei mammiferi moderni, inclusi noi stessi. I vantaggi conferiti da questo organo sono evidenti: proteggono l’embrione in via di sviluppo all’interno della madre dai fattori esterni e garantiscono un apporto costante di sostanze nutritive, umidità e temperatura appropriata per la crescita e il comodo riposo. Come è nata questa fortunata innovazione?

Alcuni accenni si trovano nei dettagli dello sviluppo placentare, che inizia cinque giorni dopo la fecondazione con la formazione di un gruppo di cellule chiamate blastocisti (Figura 2).

Figura 2. invasione della parete uterina mediante la proliferazione delle cellule del trofoblasto dopo la fecondazione.

 

La blastocisti consiste in una massa cellulare interna che diventerà l’embrione e uno strato esterno di cellule chiamate trofoblasti, da cui deriva la placenta. I trofoblasti invadono la parete uterina e proliferano, in modo simile al tumore, differenziandosi in un tipo cellulare specializzato, il citotrofoblasto. I citotrofoblasti si fondono quindi in uno strato di cellule multinucleate, i sinciziotrofoblasti, creando una sacca saldamente attaccata alla parete uterina. Questo strato di cellule fuse crea una barriera specializzata tra madre e feto, attraverso la quale il feto può acquisire nutrienti e ormoni della crescita, liberando sé stesso dai rifiuti. Il feto esprimerà sia le proteine ​​materne, tollerate dal sistema immunitario della madre, che quelle paterne che verranno invece riconosciute come invasive. È la placenta che protegge il feto dall’attacco del sistema immunitario della madre.

Tale modello ha suggerito un paragone tra la gravidanza e l’invasione da parte di un parassita, con la rielaborazione della fisiologia della madre per soddisfare i bisogni del feto. Sia che piaccia l’analogia o meno, la posizione della placenta all’interfaccia materno-fetale diventa simile a un’interfaccia tra un agente patogeno e il suo ospite. Questa situazione richiede un livello elevato di adattabilità tipico di entità che replicano più velocemente, come ad esempio, i virus.

Lo strato di cellule fuse che forma la membrana tra madre e feto è la principale caratteristica istologica della placenta. La fusione cellula-cellula non è una caratteristica comune delle cellule di mammifero, ma è analoga alla modalità con cui i retrovirus e altri virus con involucro entrano nelle cellule ospiti durante un’infezione.

Ecco come nasce la placenta: la membrana retrovirale è costellata di proteine ​​designate “Env” (abbreviazione di Envelope o involucro) composte da due parti. La parte SU (abbreviazione di SUperficie) è responsabile del legame con un recettore specifico sulla cellula ospite, mentre l’altra parte TM (TransMembrana) fonde le membrane cellulari e virali insieme, in modo che il virus possa entrare nella cellula. Con lo stesso meccanismo, una cellula che esprime Env può fondersi con un’altra cellula che esprime la proteina del recettore appropriato. A causa di questa capacità, la proteina Env retrovirale è detta “fusogenica”.

Quando la placenta si è evoluta, c’erano già molti retrovirus che si erano integrati nei genomi delle specie dei vertebrati (i cosiddetti “retrovirus endogeni” o “ERVs”). Una volta inseriti nel genoma, gli ERVs evolvono in modo neutrale e nel tempo diventano inattivi a causa dell’accumulo di mutazioni e dei meccanismi che l’ospite utilizza per reprimere la loro espressione. Le regioni di codifica Env, tuttavia, vengono talvolta conservate dopo l’integrazione.

Gli indizi che effettivamente i mammiferi si avvalgono di questi “pezzi di ricambio” sono emersi negli anni ’70: micrografie elettroniche del tessuto placentare umano e di vari altri animali hanno mostrato particelle simili a retrovirus che fuoriuscivano dalle cellule placentari, in particolare all’interno dello strato di sinciziotrofoblasto – lo strato costituito da cellule fuse (Figura 3).

 

Figura 3. Particelle di retrovirus “sbocciano” da cellule di placenta di macaco rhesus.

 

La presenza di queste particelle nei tessuti sani della placenta di molti mammiferi ha spinto alcuni ricercatori a prendere in considerazione l’idea che gli ERVs svolgano effettivamente un ruolo essenziale nello sviluppo placentare. L’implicazione piuttosto sorprendente era che l’infezione accidentale di un antenato di mammifero da parte di un retrovirus era responsabile dell’evoluzione di un nuovo meccanismo di riproduzione, che ha dato vita all’intero lignaggio dei mammiferi placentali.

Nel giro di pochi anni, sono state trovate un paio di possibilità per il retrovirus placentare tra le famiglie di ERVs umani HERV-W e HERV-FRD (HERV sta per ERV umano). La genomica comparativa ha rivelato che l’HERV-W ha infettato la linea germinale di un antenato delle grandi scimmie (compresi gli umani) oltre 25 milioni di anni fa. L’HERV-FRD è ancora più vecchio, avendo prima infettato gli antenati di tutte le scimmie tranne i prosimiani di circa 40 milioni di anni fa. Sebbene durante il loro lungo periodo nel genoma entrambi i retrovirus abbiano accumulato mutazioni che li rendono incapaci di produrre virioni infettivi, la finestra di lettura (reading frame) nei geni dell’involucro (env) è rimasta intatta. Inoltre, soddisfano i tre requisiti per un gene coinvolto nella formazione della placenta: 1) espressione placenta-specifica, 2) fusogenicità e 3) conservazione della sequenza in più specie, il che suggerisce un ruolo essenziale nella sopravvivenza. Studi in situ rivelano che l’HERV-W è espresso in molti tipi di cellule placentari, mentre l’espressione di HERV-FRD è limitata a un particolare tipo di citotrofoblasto. In esperimenti su colture primarie di citotrofoblasti, l’inibizione di Env, ma soprattutto di HERV-FRD, riduce l’efficienza della fusione e della produzione dell’ormone della gravidanza, la gonadotropina corionica umana. Sembra che sia l’HERV-W che l’HERV-FRD contribuiscano allo sviluppo placentare negli umani. HERV-W è stato chiamato syncytin-1 e HERV-FRD, syncytin-2 per la loro capacità di fondere cellule e formare sincizi.

Una volta che sapevano cosa cercare, i ricercatori hanno fatto un rapido lavoro di screening del genoma del topo per ERVs con finestra di lettura aperta (ORF) nel gene env. Hanno trovato due sequenze, ora conosciute come syncytin-A e -B (la nomenclatura cambia da 1 e 2 negli umani a A e B nei topi), che hanno soddisfatto i tre criteri menzionati sopra. Inoltre, quando i ricercatori hanno impedito l’espressione di syncytin-A nei topi, le cellule non utilizzate si sono accumulate, il che ha interrotto lo strato di sinciziotrofoblasto e causato la morte degli embrioni a metà della gestazione. Questo risultato ha dimostrato che un gene di origine retrovirale è essenziale per la sopravvivenza nei topi. La prevenzione dell’espressione di syncytin-B ha provocato una compromissione della formazione di uno dei due strati placentari trovati nei topi, confermando che anch’essa aveva un ruolo nella formazione della placenta.

Sorprendentemente, le syncytin-A e -B nel topo differiscono in maniera sostanziale dalle syncytin-1 e -2 dei primati: non si trovano in posizioni analoghe sui cromosomi e provengono da famiglie di retrovirus distinti. È emerso un inaspettato modello di evoluzione convergente, in quanto sono risultati più esempi di sincizi acquisiti indipendentemente in vari ordini di mammiferi: la sinctina-Car1 si trova nei carnivori; syncytin-Ory1 nei lagomorfi (lepri, conigli e pikas); syncytin-Rum1 in mucche e vari altri ruminanti (Figura 4a); e più recentemente, syncytin-Mar1 in scoiattoli.

 

Figura 4. a) Vari geni env di retrovirus sono stati catturati indipendentemente da diversi lignaggi di mammiferi placentali. I triangoli viola rappresentano eventi di cattura env. (b) La diversità delle strutture placentari potrebbe essere spiegata dall’uso di diversi geni di retrovirus env (sincizi).

Poiché gli ERVs possono causare malattie in vari modi, l’ospite generalmente reprime la loro trascrizione. La repressione è particolarmente severa nelle cellule staminali embrionali, dove l’attività di ERVs non controllata potrebbe interferire con i percorsi complessi e delicatamente programmati richiesti durante lo sviluppo. In netto contrasto, la repressione è rilassata nei progenitori delle cellule placentari e vengono prodotte le trascrizioni di più famiglie di ERVs. Perché ciò accade? La placenta è un organo transitorio, destinato ad essere eliminato. Allo stesso tempo, la posizione della placenta all’interfaccia materno-fetale richiede un livello elevato di adattabilità. La de-repressione di ERV potrebbe essere vista come un mezzo per sfruttare un po’ del potenziale adattivo di entità mutanti più veloci in un contesto in cui i costi per l’ospite non sono troppo alti, a causa della natura transitoria della placenta.

La marcata diversità delle strutture placentari tra le specie di mammiferi (Figura 4b) può essere un risultato di questa plasticità indotta dagli ERVs, come ipotizzato dai membri del laboratorio di Heidmann, che sono a capo del progetto per l’identificazione e la caratterizzazione dei sincizi. Dal momento che i vari sincizi derivano da diversi retrovirus, mostrano differenze nei livelli di espressione, fusogenicità e uso dei recettori, che determinano differenze nella struttura placentare. Questa plasticità si riflette anche nella prova, in alcune specie, che i vecchi geni di sincitina vengono eliminati quando viene catturata una nuova sequenza env (Figura 4a, ordini Rodentia e Haplorrhini). Questo modello di sostituzione in corso spiegherebbe la discrepanza tra l’età delle sincitine note (catturate tra 12 e 60 milioni di anni fa) e l’emergenza di una placenta primitiva di circa 150 milioni di anni fa.

Tutto questo suggerisce un modello molto elegante di cassetto delle “cianfrusaglie”: la de-repressione dell’espressione ERV nelle cellule progenitrici placentali può essere paragonata all’apertura del cassetto delle cianfrusaglie (o dei pezzi di ricambio) e al rovistare in giro per cercare tutto ciò che potrebbe essere utile. Dal momento che gli ERVs non sono frammenti casuali di DNA ma sequenze complesse che codificano per vari domini funzionali come siti di legame, proteasi, promotori e domini di fusione, la probabilità di estrarre qualcosa di utile dal cassetto degli ERVs è piuttosto alta, anche se l’elemento non è stato originariamente progettato per l’attività specifica.

Ciò apre la possibilità di studiare secondo un nuovo paradigma i virus e le modalità con cui interagiscono con le cellule, valutandone l’utilità, a volte anche essenziale come si è appena visto nella placenta, per le varie funzioni sia delle singole cellule che dell’organismo, quali agenti attivi che collaborano favorendo l’adattabilità delle cellule e quindi la loro capacità evolutiva.

 

 

Allegati

 

 

Note

Philosophical transactions of the Royal Society of London. Series B, Biological sciences, 368 (1626) (2013). Paleovirology of ‘syncytins’, retroviral env genes exapted for a role in placentation. 

Lavialle C, Cornelis G, Dupressoir A, Esnault C, Heidmann O, Vernochet C, & Heidmann T

Front Chem. 2017 Jun 8;5:35.

Friends-Enemies: Endogenous Retroviruses Are Major Transcriptional Regulators of Human DNA.

Buzdin AA1,2, Prassolov V1, Garazha AV3,4.

Elife. 2016 May 17;5. pii: e12469.

Viruses are a dominant driver of protein adaptation in mammals.

Enard D1, Cai L1, Gwennap C1, Petrov DA1.

Tratto da Retrovirus, the Placenta, and the Genomic Junk Drawer

di Jamie Henzy

https://schaechter.asmblog.org/schaechter/2014/06/retroviruses-the-placenta-and-the-genomic-junk-drawer.html