Malattia del rene nei bimbi: scoperte le basi genetiche della sindrome nefrosica

Nuova importante scoperta, nel campo della genetica, per la conoscenza della sindrome nefrosica pediatrica: a causare lo sviluppo di questa malattia renale debilitante nei bambini, sarebbero delle varianti genetiche in prossimità dell’antigene leucocitario umano (Hla), il sistema preposto alla regolazione del sistema immunitario. E’ quanto ha messo in evidenza una ricerca condotta negli Stati Uniti, in Francia, in Spagna e in Italia, all’ospedale Bambino Gesù di Roma, pubblicata sul “Journal of American Society of Nephrology“. Per esaminare le basi genomiche della sindrome – che ha un’incidenza di 16 pazienti per 100.000 bambini ed è la principale malattia glomerulare dell’infanzia – un team guidato da Pierre Ronco dell’Università La Sorbona di Parigi ha analizzato i genomi di quasi 400 bambini con questa patologia in Francia, Spagna e Italia: tra questi, più di 100 piccoli pazienti del Bambino Gesù. Al campione, inoltre, sono stati aggiunti quasi 100 bambini in Nord America. Le analisi del Dna raccolte nei due continenti hanno permesso di individuare alcuni fattori di predisposizione genetica che compromettono il funzionamento del glomerulo renale, una sorta di “gomitolo” di vasi sanguigni che ha la funzione di filtrare il sangue per produrre le urine e che, in caso di malfunzionamento, disperde grandi quantità di proteine nelle urine stesse. “I risultati di questa ricerca ci aiutano a identificare i pazienti con le forme più benigne fin dall’inizio della malattia – spiega Marina Vivarelli, dell’Uo Nefrologia e dialisi del Bambino Gesù, che ha partecipato allo studio – Inoltre, rafforzano l’ipotesi che la causa di questa patologia sia legata a una disregolazione del sistema immunitario, e pongono le basi per altri studi, mirati a capire esattamente cosa provochi questa malattia e come curarla nel modo migliore”. La patologia attualmente viene curata con il “cortisone e a volte con altri farmaci che abbassano le difese immunitarie”, conclude la ricercatrice.