Sentenza n. 1665 del 18 ottobre 1985

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE V PENALE Sentenza n. 1665 del 18 ottobre 1985

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sul ricorso proposto da.xxx

avverso la sentenza in data 14.2.1985 della Corte di appello di Lecce.

Il primo motivo di ricorso del dott. xxx si riferisce alla erroneità della applicazione degli artt.193 e 194 del T.U. del Decreto 27 luglio 1934 n.1265.
Sostiene il ricorrente che essendo stata svolta l’attività di prelievo in un laboratorio di analisi autorizzato – quale quello della dott.ssa xxx – non potevasi affermare la responsabilità dell’imputato per non essersi munito di autorizzazione specifica per un centro prelievi da gestire in località diversa da quella del proprio laboratorio di analisi debitamente autorizzato in quanto la diversità delle sedi fra i due laboratori (quello del centro prelievi e quello di esecuzione delle analisi) non solo non contrasta con il tenore letterale della norma ma nemmeno con la "ratio" della stessa che è quella di assicurare alla collettività determinate caratteristiche di natura igienico-sanitaria per il regolare funzionamento di ogni gabinetto di analisi.
Quale secondo motivo di ricorso viene proposta la violazione degli artt. 42 e 43 c.p. in relazione all’art. 479 c.p.p. in quanto si sarebbe dovuta riconoscere la mancanza dell’elemento psicologico nel comportamento dell’imputato stante la assoluta novità della questione.
Il primo motivo del ricorso del xxx è fondato e va, pertanto, accolto.
La questione sollevata dal ricorrente si colloca nella ampia problematica relativa alla gestione di laboratori di analisi ed alla regolarità del loro funzionamento a norma delle vigenti disposizioni legislative. Premesso che nella fattispecie trattasi soltanto di rispondere al quesito se sia o meno richiesta dalla legge una particolare autorizzazione per l’esercizio della attività di prelievo svolta in un laboratorio di analisi debitamente autorizzato sito in località diversa da quella in cui trovasi il laboratorio ove effettivamente le analisi vengono eseguite, è agevole rispondere negativamente al quesito stesso tenuto conto che entrambe le attività vengono svolte in laboratori muniti delle prescritte autorizzazioni e, quindi, presuntivamente in grado di adempiere con le dovute prescrizioni alla attività specialistica per il cui esercizio la stessa pubblica autorità le ha – con apposito provvedimento di autorizzazione – ritenute idonee. Diverso è il caso di esercizio della sola attività di prelievo dei reperti di ambulatori medici dai quali successivamente i reperti stessi vengono trasferiti, nei laboratori di analisi giacché in tal caso si ha un centro di prelievi attivato in una struttura sanitaria ben diversa da quella del laboratorio di analisi con evidente inosservanza della normativa (art. 193 T.U. Legge 7 luglio 1934 n.1265) concernente il regolare esercizio di tali laboratori che per le sue particolari caratteristiche abbisogna di una apposita autorizzazione.
In proposito, è stato chiarito da questa Corte (Cass. 16 feb. 1984 – ric.Bocchiotti) che l’attività di prelievo – in relazione alle sue modalità di esecuzione ed a quelle di conservazione e trasporto dei reperti – costituendo la prima, imprescindibile fase dell’attività di un laboratorio di analisi – non può che essere sottoposta al controllo della Pubblica Autorità allo stesso modo di quella del laboratorio di analisi cui è legata da un rapporto che, pur potendo non essere necessariamente di contiguità fisica, è certamente dal punto di vista funzionale di concettuale indissolubilità.
A nessuno sfugge, infatti, l’importanza di eseguire le operazioni di prelievo ed, ancor più, quelle di conservazione e trasporto dei reperti con gli stessi accorgimenti tecnici richiesti dalle moderne metodiche nel quadro di strutture autorizzate a tal fine specifico dalla Pubblica Autorità secondo prescrizioni dalla stessa predisposte in modo certamente ben diverso da quelle riguardanti gli ambulatori dei medici generici. L’attività di questi ultimi – fra cui è compresa quella del ricorrente – anche se pur essa sottoposta alla autorizzazione ed alla vigilanza da parte degli organi tecnici del Comune ed anche se gestita da medici che per la loro idoneità professionale danno garanzie di responsabilità tecnico – sanitaria, non può ritenersi quanto all’ambito di applicazione della normativa sopra richiamata alla stessa stregua di quella dei laboratori di analisi caratterizzata da una particolare organizzazione delle strutture ambientali sia per gli strumenti usati sia per la rispondenza di locali ed apparecchi alle speciali esigenze delle operazioni connesse con le analisi di laboratorio.
Come è noto, si è andata recentemente diffondendo la pratica di far confluire ai laboratori di riferimento – dotati di costose attrezzature per le metodiche più sofisticate – i campioni biologici provenienti dalle zone circostanti del territorio onde effettuare, senza eccessiva spesa per l’utente, analisi complesse e non frequenti e ciò per rendere economicamente possibile talune indagini di alta specializzazione anche in centri urbani lontani dalle grandi metropoli. In siffatta materia, purtroppo, l’attuale legislazione è incompleta e frammentaria tanto da dar adito ad interpretazioni difformi, sul piano sostanziale, dalla concreta necessità di svolgimento dell’attività di che trattasi.
La fattispecie, però, è ad avviso della Corte di agevole soluzione sol che si consideri la "ratio" della norma di cui all’art.193 del Testo Unico delle leggi sanitarie che consiste nel garantire all’attività dei laboratori di analisi – la cui prima fase è quella del prelievo dei reperti – il carattere di organizzazione specialistica e tecnicamente qualificata sottoposta alla disciplina del controllo dei presidi sanitari dei Comuni e delle Regioni e ciò al fine di rispettare l’interesse pubblico al corretto svolgimento di accertamenti qualificati ed importanti ai fini diagnostici il tutto secondo una visione unitaria rispondente a identici parametri di indirizzo socio – sanitario.
Tale finalità normativa è realizzata allorché in laboratori di analisi debitamente autorizzati in determinate località più o meno decentrate vengono effettuati prelievi di campioni biologici da trasferire in laboratori di analisi maggiormente attrezzati per l’esecuzione delle indagini cliniche esistenti in altre località a nulla rilevando che ognuna delle due operazioni avvenga in località diversa atteso che entrambe le strutture sono soggette alla stessa disciplina ed agli stessi controlli per quanto attiene alle essenziali modalità del prelievo, della conservazione e del trasporto dei reperti.

P.Q.M.

La Corte annulla la sentenza della Corte d’Appello di Lecce in data 14 febbraio 1985 nei confronti del ricorrente perché il fatto non costituisce reato.

Roma, 18 ottobre 1985

IL PRESIDENTE

Ecc. Dott. GIUFFRIDA GIUSEPPE

IL CONSIGLIERE ESTENSORE
Dott. BILARDO LUIGI
 
Il testo di questo provvedimento non riveste carattere di ufficialità e non è sostitutivo in alcun modo della pubblicazione ufficiale cartacea.
La consultazione e’ gratuita.
Fonte: Istituto poligrafico e Zecca dello Stato