Utilizzo nella ristorazione collettiva di alimenti fuori dalla filiera controllata

Di recente una collega nutrizionista che da circa un anno si sta cimentando nella sicurezza alimentare mi ha domandato se nell’ambito della ristorazione collettiva si potevano usare alimenti (nello specifico materie prime) che non rientrano nella cosiddetta filiera controllata dagli organi di sorveglianza/ispezione. Cercherò di rispondere al quesito in maniera esaustiva anche se sintetica.

 

RISPOSTA

 

Nella ristorazione collettiva (ristoranti, pizzerie, ecc.) capita spesso che entrino nella filiera produttiva delle materie prime che non subiscono alcun controllo dagli organi deputati. Esempio di ciò sono i funghi e gli asparagi raccolti dal proprietario e/o da qualche dipendente, i pesci pescati dagli stessi o comperati da amici/conoscenti subito dopo una battuta di pesca oppure animali (agnelli, polli, maialetti, ecc.) allevati da amici o animali selvatici uccisi durante qualche battuta di caccia.

Alcune volte capita di adoperare anche materie finite (es. conserve sottolio) preparate in ambito domestico o insaccati preparati artigianalmente da qualche piccolo allevatore non iscritto negli appositi registri (e quindi non soggetto a controlli) oppure derivati del latte (ricotte e formaggi) preparati da pastori. Insomma i prodotti cosiddetti “caserecci” che spesso vengono adoperati nella ristorazione collettiva sono veramente infiniti.

Tutte queste materie prime e prodotti finiti spesso sono particolarmente attraenti in quanto caratterizzati da peculiarità organolettiche superiori (odori che ricordano i “vecchi” sapori, colori seducenti, sapori avvolgenti, ecc.), ma il fatto che siano alimenti ottimi al palato e belli da vedere non da alcuna garanzia dal punto di vista igienico-­sanitario.

Insomma queste pratiche sono alquanto fuori legge. Senza andare a “frugare” nelle singole disposizioni settoriali (carni, pesce, ortofrutta, ecc.) basta leggere l’articolo 1, lettera b, del Regolamento CE 852/2004 il quale recita “è necessario garantire la sicurezza degli alimenti lungo tutta la catena alimentare, a cominciare dalla produzione primaria” e lo stesso regolamento in vari punti ribadisce l’obbligo dell’applicazione di procedure basate sui principi del sistema HACCP, unitamente all’applicazione di una corretta prassi igienica, al mantenimento della catena del freddo per gli alimenti deperibili e la responsabilità degli operatori del settore alimentare (OSA) per il non ottemperamento di tali prescrizioni.

Nessuno vieta la produzione primaria di alimenti e la preparazione e conservazione per uso privato in ambito domestico. Tanto meno viene vietata, sempre per uso domestico, la fornitura diretta di prodotti primari dal produttore al consumatore. Ma quando si parla di attività commerciali che rientrano nel Pacchetto Igiene (quindi anche la ristorazione collettiva) queste attività devono sottostare a precise regole molto ben disciplinate che come detto sopra impongono il controllo costante in tutta la filiera produttiva.

Quante volte, nell’ambito della libera professione, è capitato di imbattersi in queste situazioni e sempre ci si trova a discutere animatamente con gli OSA che difendono energicamente questi prodotti “caserecci” come dei toccasana però dopo le specifiche determinazioni analitiche emergono formaggi “casalinghi” (spesso prodotti con latte crudo) con importanti cariche batteriche patogene (Staphilococcus aerus, Listeria monocytogenes, Escherichia coli e Yersinia enterocolitica) in grado di causare tossinfezioni alimentari oppure si scoprono mitili pescati da amici in acque “limpide e fredde” però ricchissimi di Salmonelle, di Shigelle e in alcuni casi anche in grado di causare intossicazioni quali la D.S.P. (Diarrhetic Shellfish Poison) o di trovare salumi con un eccesso di nitrati (additivi chimici molto usati nel settore carni lavorate per impedire la proliferazione del Clostridium botulinum e per colorare queste di un rosso vivo, ma al contempo in grado di generare, se usati in eccesso, diverse sostanze cancerogene come le nitrosamine). Insomma introducendo questi alimenti “fai da te” nella filiera produttiva si rischia di andare incontro a potenziali e gravi pericoli non sempre facilmente evidenziabili.

Alcuni prodotti alimentari come ad esempio per i pesci derivanti da attività sportive e ricreativa o provenienti dall’attività di associazioni di pesca professionale è concessa la vendita diretta al consumatore (cessione occasionale) di determinati quantitativi e fornendo specifiche informazioni sul prodotto. Ovviamente tale attività dovrà essere trascurabile rispetto all’attività principale. Per eventuali ulteriori chiarimenti in merito alla problematica sopra analizzata si consiglia la consultazione con gli organi di controllo locale (ASL, NAS, ecc.).

 

 

 

Dr. Luciano O. Atzori

Consigliere e Segretario dell’Ordine Nazionale dei Biologi

Coordinatore della Commissione permanente di Studio dell’ONB “Igiene, Sicurezza e Qualità”

Delegato nazionale per l’Igiene, la Sicurezza e la Qualità

Coordinatore del Comitato EXPO2015

Esperto in Sicurezza degli Alimenti e in Tutela della Salute

 

 

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