Scoperta: è anche il Dna a decidere quando i bambini iniziano a camminare

Roma, 30 maggio 2025 (Agenbio) – Uno studio su oltre 70.000 neonati rivela una componente genetica dietro ai primi passi

Camminare è una delle tappe più importanti nello sviluppo di un bambino, e da oggi sappiamo che non dipende solo dall’ambiente o dalla stimolazione esterna, ma anche da fattori genetici. È quanto emerge da uno studio internazionale, il primo su larga scala nel suo genere, che ha analizzato il patrimonio genetico di oltre 70.000 neonati. I risultati, pubblicati sulla rivista Nature Human Behaviour, hanno permesso di identificare 11 marcatori genetici associati all’età in cui i bambini iniziano a muovere i primi passi.

Fino a oggi si sapeva che l’intervallo di età in cui i piccoli cominciano a camminare – in media tra gli 8 e i 24 mesi – poteva variare molto in base a fattori ambientali, come il contesto familiare o l’incoraggiamento motorio. Ma questa ricerca ha mostrato che circa il 25% della variabilità osservata è spiegabile dal Dna.

Gli scienziati hanno scoperto che alcuni dei geni coinvolti sono anche legati allo sviluppo del cervello, in particolare alla struttura della corteccia cerebrale. Una delle scoperte più interessanti riguarda la correlazione tra un inizio più tardivo del camminare e un rischio ridotto di sviluppare l’ADHD, il disturbo da deficit di attenzione e iperattività.

«I genitori spesso si preoccupano se i loro figli camminano prima o dopo rispetto alla media», spiega Anna Gui, ricercatrice dell’Università di Roma Tor Vergata e dell’Università di Londra Birkbeck.

«Ma questo studio mostra che c’è una forte componente genetica dietro a questa variabilità, e che camminare più tardi non significa necessariamente avere un problema».

Il cammino, oltre a segnare una conquista fisica, è anche un indicatore importante dello sviluppo neurologico. Comprendere i meccanismi genetici che lo regolano può aprire nuove strade per aiutare i bambini con disturbi motori o del neurosviluppo. «I risultati ci offrono nuovi strumenti per comprendere il legame tra sviluppo motorio e cognitivo», sottolinea Angelica Ronald, docente di Psicologia e genetica presso l’Università del Surrey, coautrice dello studio. La ricerca non ha solo valore teorico, ma anche pratico: potrà contribuire in futuro a individuare precocemente bambini che potrebbero avere bisogno di un supporto personalizzato nel loro sviluppo. E, forse, aiutare tanti genitori ad affrontare con più serenità le naturali differenze nei tempi di crescita dei loro figli. (Agenbio) Eleonara Caruso 9:00