Covid-19, modello immunologico della patogenesi e risposta anticorpale: il report di Frontiers in Immunology

Sulle “colonne” della rivista “Frontiers in Immunology” è uscito un articolo dedicato al Covid-19 scritto da Alberto Beretta, immunologo, insieme a Donato Zipeto (docente di Biologia Molecolare all’Università di Verona) e Martin Cranage, virologo (professore emerito presso il St.George Hospital di Londra). Partendo dall’analisi dei dati disponibili in letteratura sulle risposte sierologiche dei pazienti Covid, SARS, e MERS, il lavoro presenta un modello immunologico della patogenesi Covid-19 basato sul ruolo della risposta anticorpale cross-reattiva generata dalle omologie di struttura con la proteina Spike dei coronavirus comuni. Il lavoro ha anche preso in esame la letteratura disponibile sui vaccini sperimentali SARS e le evidenze a favore di un possibile “effetto paradosso”, quello che gli immunologi chiamiamo “antibody-dependent-enhancement“.
In sintesi, in molti pazienti Covid si osserva una correlazione fra la rapidità e l’intensità della risposta anticorpale e la progressione della malattia verso le forme più gravi. Spesso accompagnata da una comparsa di anticorpi di tipo IgG prima o in concomitanza con la comparsa delle IgM. Osservazioni analoghe sono state riportate sulle IgA seriche, che compaiono molto precocemente (prima delle IgG) e si correlano con il decorso grave della malattia. Questo tipo di risposte anticorpali può solo essere spiegato con l’esistenza di una memoria immunologica pregressa contro un virus simile. Il lavoro prende anche in considerazione la presenza di una forte memoria T cross-reattiva con i coronavirus comuni che può supportare l’attivazione delle cellule B memoria cross-reattive.
L’ipotesi proposta è che l’immunità cross-reattiva non sia protettiva, come ipotizzato da altri, ma contribuisca alla patogenesi con un meccanismo di amplificazione della reazione infiammatoria sistemica tipica delle forme severe di Covid-19.
Durante la fase di revisione del lavoro sono apparsi risultati che in parte confermano tale ipotesi. Lo studio di Vito Lampasona del San Raffaele (pubblicato su J Clin Invest) ha messo in evidenza la comparsa di anticorpi specifici per i coronavirus comuni in seguito all’infezione con SARS-CoV-2, in parallelo alla comparsa di anticorpi specifici per la spike di SARS-CoV-2 che neutralizzano il virus. Un altro studio cinese ha messo in evidenza la presenza di anticorpi cross-reattivi con i coronavirus comuni e cellule B memoria riattivate dalla infezione con SARS-CoV-2. Un lavoro uscito da poco ha dimostrato che gli anticorpi cross-reattivi sono specifici per la subunità S2 della proteina spike e non neutralizzano il virus. Si tratta di anticorpi che, legandosi al virus, possono avere un effetto opposto provocandone l’internalizzazione nelle cellule con conseguente stimolo delle reazioni infiammatorie (antibody-dependent immunopathogenesis)
L’insieme dei dati suggerisce che al momento dell’infezione con SARS-CoV-2 vengono attivate contemporaneamente due tipi di risposte anticorpali: una specifica per il SARS-CoV-2, e in modo particolare per la frazione RBD che lega il recettore ACE2 (neutralizzante e protettiva) e l’altra cross-reattiva con gli altri coronavirus (dei quali il più importante sembra essere l’OC43 per ragioni che vedremo poi) che non neutralizza ma, al contrario, favorisce l’immuno-patogenesi della malattia. In base a quale delle due risposte prevale sull’altra la malattia può avere un decorso più o meno favorevole.
Una delle caratteristiche peculiari della risposta anticorpale contro l’RBD (quella protettiva) è di essere interamente sostenuta da anticorpi germ-line che non necessitano mutazioni somatiche come avviene nella maggior parte delle infezioni virali. In altre parole, ognuno di noi ha a disposizione un pool di anticorpi neutralizzanti che si può mobilitare molto rapidamente senza attendere il tempo necessario per le mutazioni somatiche (come avviene per esempio nell’infezione con HIV). Il problema adesso sarà di capire in che misura la risposta anticorpale cross-reattiva interferisce negativamente sulla risposta protettiva e sul decorso della malattia.
L’ipotesi che esistano due tipi di risposte anticorpali nella Covid-19, una “utile” e l’altra “inutile” o dannosa fornisce inoltre una spiegazione all’andamento stagionale della morbidità della Covid-19 (che può aumentare in concomitanza dell’arrivo degli altri coronavirus).
Per quanto riguarda il vaccino occorrerà valutare con attenzione l’impatto della vaccinazione sulle risposte cross-reattive e, viceversa, l’impatto delle infezioni da coronavirus comuni sulla risposta al vaccino. Tenendo presente che la quasi totalità dei vaccini in fase di sperimentazione sono basati sull’impiego di una proteina spike full-lenght che ha il potenziale di stimolare le risposte cross-reattive. In questa ottica sarebbe opportuno favorire lo sviluppo di vaccini basati sulla subunità RBD che non presenta cross-reattività immunologiche con quella degli altri coronavirus.

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