Coronavirus: il Remdesivir funziona? Secondo un trial americano l’antivirale accorcia la malattia da 15 a 11 giorni ma uno studio cinese non riscontra benefici

Ma il Remdesivir funziona oppure no? Secondo quanto scrive la rivista “The Scientist” in un articolo di Catherine Offord, pubblicato lo scorso 30 aprile, ci sarebbero due studi contrastanti. Uno prodotto negli Usa nel quale si sarebbe dimostrato che l’antivirale accorcia la malattia da 15 a 11 giorni. E un altro in Cina in cui non sarebbero stati riscontrati i benefici di cui parla il trial americano. Ma procediamo con ordine.

The Scientist riferisce che il remdesivir, farmaco antivirale sperimentale sviluppato dalla Gilead Sciences come trattamento per l’Ebola, avrebbe “mostrato benefici in uno trial clinico statunitense con 1.063 pazienti affetti da COVID-19″. Secondo quanto riferisce il magazine, “è stato notato che mentre gli ospedalizzati (affetti da coronavirus) che avevano ricevuto un placebo impiegavano, in media, 15 giorni per riprendersi dalla malattia, quelli a cui era stato somministrato remdesivir recuperavano, in media, in 11 giorni, con una riduzione, dunque, dei tempi di guarigione del 31 per cento”.

“Remdesivir è risultato migliore del placebo dal punto di vista dell’endpoint primario (il tempo di recupero)”, si legge in una dichiarazione pubblicata lo scorso 29 aprile dal National Institute of Allergy and Infectious Disease (NIAID). “Informazioni più dettagliate sui risultati della sperimentazione, compresi dati più completi, saranno tuttavia disponibili in un prossimo rapporto” è stato poi sottolineato.

Lo studio, in ogni caso, non ha dimostrato in modo definitivo che il farmaco riduca la mortalità per la COVID-19, sebbene la posizione del NIAID abbia evidenziato comunque che i risultati (sia pur statisticamente bassi) sarebbero indicativi anche di un “beneficio di sopravvivenza”: il gruppo che ha ricevuto il farmaco, infatti, aveva un tasso di mortalità dell’8 percento, rispetto a 11,6 percento di quello trattato col placebo.

Lo stesso Anthony Fauci, direttore dell’Istituto nazionale americano delle malattie infettive e punto di riferimento anche per il pubblico, negli Usa, commentando i risultati della sperimentazione clinica, ha dichiarato, come riferisce l’Associated Press, che il trial ha “dimostrato…che il farmaco può bloccare questo virus”. Il noto virologo americano ha anche aggiunto che “questo sarà lo standard di cura” e che da quel momento in poi “altri potenziali trattamenti saranno combinati o trattati con il remdesivir”.

Tuttavia, i risultati del test clinico americano sembrano contrastare con quelli emersi da uno studio condotto sempre sul remdesivir, in Cina, con un piccolo numero di pazienti, pubblicato nei giorni scorsi sulla rivista peer-review The Lancet. Ebbene, tale studio, randomizzato e controllato con placebo su 237 malati di COVID-19 in più ospedali, ha rilevato che il “remdesivir non era associato a benefici clinici statisticamente significativi”, sebbene i dati mostrassero una riduzione del tempo di recupero nei pazienti che assumevano il farmaco antivirale. Il documento riporta anche che la somministrazione del farmaco ha dovuto essere interrotta in diversi pazienti a causa di effetti collaterali.

Dal canto loro, i dati di un altro studio, sponsorizzato da Gilead e condotto presso l’Università di Chicago, trapelato e successivamente diffuso questo mese dal magazine STAT News, avrebbero mostrato, invece, un recupero apparentemente più veloce del normale in pazienti affetti da COVID-19 trattati con il remdesivir. L’assenza di “controllo” in quello studio ha reso, però, i risultati difficili da interpretare e l’Università stessa di Chicago ha dichiarato a STAT che “trarre conclusioni a questo punto è prematuro e scientificamente insoddisfacente”.

La notizia dell’apparente successo del farmaco, in ogni caso, ha fatto salire vertiginosamente i prezzi delle azioni di Gilead da metà aprile, con un balzo di oltre l’11 percento nel commercio al dettaglio. Da qui le preoccupazioni espresse da alcuni ricercatori sul modo in cui le informazioni relative allo studio sui farmaci sono state rese pubbliche.

Infine, notando la mancanza di dettagli circa l’annuncio di Fauci, Steven Nissen, direttore accademico della Cleveland Clinic, ha riferito a Reuters: “Voglio vedere tutti i dati. Voglio capire le statistiche. Voglio capire il beneficio e il rischio. Voglio capire la struttura dello studio e tutto questo. Se sono incoraggiato da ciò che ho sentito? Sì, sono incoraggiato. Ma voglio avere una piena comprensione di ciò che è successo qui”.

L’articolo completo in lingua originale.