AgONB – “Sulle tracce (biologiche) del colpevole. Come agisce la genetica forense”

(AgONB) – Roma, 4 gennaio 2017 – Cogne, Perugia, Brembate di Sopra e infine Garlasco. Sono solo alcuni dei casi recenti di cronaca nera in cui le analisi di laboratorio hanno giocato un ruolo fondamentale. Negli ultimi decenni, infatti, i progressi della genetica forense hanno permesso agli inquirenti di fare affidamento su uno strumento sempre più solido e sicuro, nonostante i dubbi che ogni caso si porta dietro. “Quando eseguo il test di un campione trovato sulla scena del crimine – spiega Emiliano Giardina, responsabile del Laboratorio di genetica forense dell’Università Tor Vergata di Roma – so per definizione che qualcuno lo dovrà contestare, fa parte della normale dialettica tra difese e accusa”. È per questa ragione che, secondo il professore, spesso si cade nell’equivoco che i test del Dna in questo campo possano dare risultati ambigui. “Anche in genetica forense ci sono margini di errore ma questa disciplina ha la capacità di discernere i risultati certi da quelli che possono riscontrare degli elementi di incertezza”.

Quanto può essere attendibile un test del Dna sulla scena di un crimine?

L’attendibilità di un test di genetica forense dipende dalla fase di raccolta delle tracce biologiche e dalla qualità dell’analisi e delle procedure che vengono adottate. Tutti questi fattori insieme determinano la solidità scientifica di un risultato. Negli anni siamo riusciti ad arrivare a un metodo di interpretazione dei risultati solido, riproducibile e sicuro.

Si può raggiungere una certezza assoluta?

In linea teorica non si può mai escludere la possibilità di trovare un individuo con il medesimo profilo genetico ma in termini probabilistici è praticamente impossibile. Con le ultime tecniche possiamo arrivare a una certezza pari a oltre il 99,9 per cento, con una possibilità su miliardi di miliardi di miliardi che nella popolazione esista una persona con lo stesso Dna di un’altra, ad esclusione ovviamente dei gemelli omozigoti.

È per questo che è considerata un elemento di prova così importante durante le indagini?

Certamente, anche se va ricordato che l’indagine condotta sul Dna non indica mai una responsabilità ma soltanto una presenza. Noi ci limitiamo a estrapolare un profilo genetico unico, come fosse un codice a barre, che trovi riscontro in un specifico individuo. Questa costatazione, però, può diventare responsabilità soltanto al verificarsi di determinate circostanze. Basti pensare che una persona su 5 che non ha subito violenze ha sotto le unghie il Dna di un altro.

Spesso si sente parlare di Dna nucleare e mitocondriale: qual è quello che permette l’identificazione di un soggetto?

L’unico Dna che può essere utilizzato a livello identificativo è quello nucleare perché ognuno di noi ne possiede uno diverso essendo frutto della combinazione di quello del padre e della madre. Il Dna mitocondriale invece analizza esclusivamente il patrimonio genetico che la madre trasferisce inalterato ai figli. Motivo per il quale, nel caso di fratelli o sorelle, ci possono essere più persone con il medesimo Dna mitocondriale che quindi non può essere considerato strettamente identificativo.

Durante le indagini per l’omicidio di Yara Gambirasio, lei è riuscito a identificare “ignoto 1” tramite un vasto campionamento della popolazione…

Questo tipo di rilevazione ha suscitato stupore a causa del grande clamore del processo, in realtà è una pratica che in ambito forense è stata attuata per la prima volta ben 30 anni fa per la risoluzione dell’omicidio di Lynda Mann. Oltre che per il campionamento massivo, con l’analisi di 6/700 campioni, il caso Gambirasio può essere considerato unico anche per il tipo di analisi biostatistica molto elaborata che ci ha permesso di eseguire un accertamento di parentela senza avere né il padre (deceduto) né la madre, perché si supponeva che le tracce biologiche fossero attribuibili a un figlio illegittimo di Giuseppe Guerinoni (Massimo Bossetti, ndr). La genetica forense normalmente ha il compito di suffragare delle ipotesi, questa volta invece ci ha permesso di ribaltare i ruoli, suggerendo una vera e propria pista investigativa.

 

di Daniele Brunetti